È opinione comune a molti studiosi che Era de maggio rappresenti il punto più alto della poetica di Salvatore di Giacomo e la più bella canzone napoletana. i suoi versi apparvero la prima volta il 21 ottobre 1885 sul giornale leccese Il salotto. Li mise poi in musica Mario Costa per l’editore Santojanni, che stampò lo spartito della canzone nel 1886.
Come fece con altre poesie, di Giacomo modificò successivamente il testo originale, apportando diverse variazioni. Cambiò, ad esempio, vaje in vaie, mbalzamata in mbarzata, le cerase in li ccerase e l’intero verso cantammo nzieme la canzone antica in cantammo nzieme lu mutivo antico.
La sua pubblicazione alimentò ulteriormente le polemiche di quanti consideravano di Giacomo un poeta sentimentale e tenero. I puristi della tradizione lo consideravano lontano dall’animo gaio, rumoroso e canzonatorio dei napoletani. Inoltre, lo ritevevano colpevole di aver trasformato il dialetto partenopeo in un “ibrido miscuglio tosco-napoletano”.
In realtà, con Era de maggio di Giacomo ne proseguì la modernizzazione: un processo segnato da innovazioni lessicali e grafiche, dalla preferenza per strutture vocaliche dolci in luogo di suoni aspri, dalla rinuncia all’uso di termini arcaici e, non ultima, dalla trascrizione fedele della pronuncia delle preposizioni articolate.
Salvatore di Giacomo aveva in mente un obiettivo chiaro: dimostrare che anche i più umili erano capaci di nutrire sentimenti delicati, esprimendoli in napoletano.
LE ORIGINI VENETE DI ERA DE MAGGIO
Secondo alcuni storici, il poeta compose Era de maggio ispirandosi a un canto popolare veneto, citato anche da Pier Paolo Pasolini, i cui versi recitavano così: L’era de magio (sempe mel ricordo)/ Quando da ti gò acomencià a vegnere./Jera sbociade ben le rose in l’orto. E le cirase deventava nere. Anche Roberto De Simone ha sostenuto questa tesi, evidenziando, però, l’apporto dato da di Giacomo in termini di originalità. Il musicologo ha sottolineato come l’ascolto di Era de maggio coinvolga la vista, l’udito e l’olfatto. Un merito esclusivo di don Salvatore, che ne testimonia il talento creativo.
Nel suo libro La canzone napolitana, poi, De Simone ha messo in relazione la pubblicazione di Era de maggio con il periodo storico. Siamo nel pieno dello sventramento post colera 1884. Di Giacomo segue giornalisticamente l’abbattimento di interi rioni del centro storico di Napoli, luoghi che avevano alimentato la sua ispirazione. I versi diventano, quindi, l’evocazione di un passato trasfigurato. “Maggio, il colore acceso delle ciliegie, il giardino che si perde nel profumo delle rose” ha scritto De Simone. “E subito i tocchi del poeta: il ricordo che rivive, la fontana, la coppia di amanti che dialogano con un antico canto a due voci”. Il tutto con il tono del c’era una volta e i modi della favola ovvero “un idillio di struggente delicatezza”.
LA MELODIA RAFFINATA DI MARIO COSTA
I versi Salvatore di Giacomo, certo, ma anche il genio musicale di Mario Costa. Era de maggio è arrivata fino a noi anche per la raffinata melodia del compositore tarantino. Il senso malinconico della canzone è frutto di un andamento che sottolinea alla perfezione il tono sognante del racconto.

Era de maggio vanta centinaia di interpreti. Beniamino Gigli, Elvira Donnarumma, Gennaro Pasquariello, Roberto Murolo, Sergio Bruni sono quelli che più degli altri l’hanno resa un classico. Tra le versioni recenti, va sicuramente ricordata quella di Franco Battiato.
TESTO DI ERA DE MAGGIO
Era de maggio e te cadéano ‘nzino,
a schiocche a schiocche, li ccerase rosse.
Fresca era ll’aria e tutto lu ciardino
addurava de rose a ciento passe.
Era de maggio, io no, nun mme ne scordo,
na canzone cantávamo a doje voce.
Cchiù tiempo passa e cchiù mme n’allicordo,
fresca era ll’aria e la canzona doce.
E diceva: “Core, core,
core mio, luntano vaje,
tu mme lasse, io conto ll’ore.
Chisà quanno turnarraje”.
Rispunnev’io: “Turnarraggio
quanno tornano li rrose.
Si stu sciore torna a maggio,
pure a maggio io stóngo ccá.
Si stu sciore torna a maggio,
pure a maggio io stóngo ccá”.
E só’ turnato e mo, comm’a na vota,
cantammo ‘nzieme lu mutivo antico.
Passa lu tiempo e lu munno s’avota,
ma ‘ammore vero no, nun vota vico.
De te, bellezza mia, mme ‘nnammuraje,
si t’allicuorde, ‘nnanz’a la funtana.
Ll’acqua, llá dinto, nun se sécca maje
e ferita d’ammore nun se sana.
Nun se sana. Ca sanata,
si se fosse, gioja mia,
‘mmiez’a st’aria ‘mbarzamata,
a guardarte io nun starría.
E te dico: “Core, core,
core mio, turnato io só’.
Torna maggio e torna ‘ammore.
Fa’ de me chello che vuó’.
Torna maggio e torna ‘ammore.
Fa’ de me chello che vuó'”.
